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Come si sa, nell’era della rete mediatica che ci avvolge come un’inestricabile ragnatela, la comunicazione in politica è tutto. Più che il fare, anche quando viene sbandierato, conta l’apparire e, soprattutto, l’annuncite, cioè l’annuncio, da parte di chi governa a tutti i livelli, di ottime intenzioni e di ottimi provvedimenti che poi, per gran parte, nessuno si perita di sapere come sono andati a finire e che incidenza hanno avuto sulla vita reale: buona, cattiva oppure nulla.

Giornali e TV in quest’andazzo onirico-mediatico hanno un vero ruolo mefistofelico, tanto asseverativo quanto acritico. Le titolazioni su “non avremo più…”, oppure “avremo..”, “ci saranno…” o “non ci saranno…” indipendentemente da chi lo dice, vanno per la maggiore. Quando poi le cose vanno male politicamente, com’è successo nel giugno scorso nella tornata elettorale sui sindaci, ma era già successo precedentemente durante le tornate governative di Berlusconi, chi, in questo caso Renzi, va sotto bagno, invece di analizzare criticamente il perché e il per come di certi risultati, tende a scaricare le responsabilità sulla “cattiva” o “inadeguata” comunicazione mediatica che non ha saputo vendere in giro per l’Italia le buone cose fatte dal suo governo. A giugno il Presidente del consiglio se l’è presa col suo partito dicendo, a un dipresso: io da solo non ce la faccio a comunicare tanta abbondanza di risultati in economia e tante belle riforme sfornate, datemi una mano, impegnatevi di più, ventre a terra.

Il fatto è che fra maggio e giugno lui ha commesso un errore: si è messo a fare la campagna per il referendum nel modo che sappiamo – e che ora tenta di far dimenticare, più che correggere, malgrado i paterni avvertimenti e rimbrotti di Napolitano – invece di supportare i candidati del suo partito nelle difficili sfide elettorali.

Jim Messina
Jim Messina

Per condurre meglio la campagna referendaria ha assunto all’uopo, per 400.000 euro, anche uno spin doctor, certo Jim Messina, che aveva ottenuto ottimi risultati negli States dirigendo la campagna per la rielezione di Obama. Intendiamoci quella degli spin doctor esperti in comunicazione non è una prerogativa di Renzi. Prima di lui anche Rutelli nel 2001 affidò se stesso e, purtroppo, anche tutto il centro sinistra alle magiche doti di Stanley Greenberg, storico stratega di Bill Clinton per cercare di sconfiggere, invano, Berlusconi. Nel 2013 fu la volta di David Axelrod, anche lui spin doctor di Barack Obama, ma nel 2008, chiamato a seguire la campagna elettorale di Mario Monti. Insomma, com’è noto, i risultati non sono stati trionfali.

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Ernest Dichter

Tutto ciò mi ha indotto a riandare con la memoria a un altro precedente spin doctor, più lontano, molto più lontano nel tempo. Si chiamava Ernest Dichter, austriaco, emigrato nella patria dei comunicatori, gli Usa, dove aveva avuto un certo successo nelle vendite commerciali. applicando i concetti e le tecniche psicoanalitiche di Freud. Nel 1963 venne ingaggiato dalla Dc per una campagna elettorale di elezioni politiche assai importante. In ballo vi era il gradimento da parte degli italiani dell’esperimento di centro-sinistra appena avviato col PSI, insieme ai tradizionali sodali del PRI e PSDI, e per averlo occorreva mettere fuori gioco il PCI di Togliatti ridimensionandolo elettoralmente. La DC giocò quella campagna sul tema della giovinezza spigliata: lo slogan era “la DC ha vent’anni”, come a sottintendere che i comunisti, ma un po’ anche gli altri partiti, erano vecchi e passati di moda, oggi si direbbe da “rottamare”. Ovviamente era, dal punto di vista anagrafico, una cosmesi perché, in effetti, il partito cattolico era l’erede in tutto e per tutto del vecchio Partito popolare nato nel 1919, due anni prima del Partito comunista.

Giancarlo Pajetta comincio' letteralmente da bambino, a 9 anni, a occuparsi di politica, partecipando a una manifestazione dei metalmeccanici. Fu deputato per molte legislature. Memorabili i suoi alterchi in Parlamento, frutto di uno spirito caustico e intransigente che era comunque rispettato anche dagli avversari politici.
Giancarlo Pajetta 

In TV la campagna fu contrassegnata dalle Tribune elettorali dei leader di partito che rispondevano alle domande dei giornalisti. E furono inaugurate anche trasmissioni autogestite, in cui erano i partiti stessi a promuovere il format della loro comunicazione. Per il PCI a condurre questa parte televisiva fu Giancarlo Pajetta, grande ed efficace polemista, dalla battuta pronta e fulminante. Il suo principale cavallo di battaglia, dall’inizio alla fine, fu il cosiddetto scandalo della Federconsorzi diretta da Paolo Bonomi, braccio della Coldiretti e grande canale di voti Dc nelle campagne. Non ci fu trasmissione in cui Pajetta non invitò Bonomi a dare conto di mille miliardi di soldi pubblici, una montagna all’epoca, che non si sapeva che fine avessero fatto. Naturalmente le risposte non vennero e per sottolineare l’inadempienza reticente, nell’ultima puntata il dirigente comunista si presentò con una sedia vuota attorno al tavolo dove interloquiva con altri esponenti del partito. La sedia, disse, era per Bonomi, l’avevamo invitato a dirci che fine hanno fatto i soldi, l’aspettavamo ma non è venuto. La trovata fu di grande effetto.

All’epoca la TV era solo un’opportunità in più per l’attività dei partiti, anche in campagna elettorale. Comizi, giornali parlati nelle piazze e agli angoli delle strade con le amplificazioni sulle auto, manifesti, cartelloni e striscioni di stoffa, simboli anche luminosi su macchine e camioncini, riunioni, assemblee pubbliche, distribuzione di materiale per le strade, porta a porta o con i “buchettaggi” nelle cassette delle lettere. E un esercito di militanti per fare tutto ciò. Insomma, nel film, che gli spettatori vedevano, non c’era solo il protagonista ma anche tanti altri attori grandi e piccoli che popolavano le scene.

Ma come andò a finire quella tenzone? Che la DC perse il 4% e il PCI guadagnò il 2,7%: un milione di voti in più che pesarono non poco nel proseguimento della vicenda politica italiana e del centro-sinistra. Il che a “l’Unità” di Togliatti fece gridare “Vittoria” e sbertucciare lo spin doctor Dichter definito “venditore di prugne”. All’epoca non c’era grande mobilità nell’elettorato e la vittoria poteva essere invocata, in regime di legge elettorale proporzionale, anche per un aumento di qualche punto in percentuale.

Ovviamente non ci sono analogie con l’oggi. Si parla di un’altra società e di un altro mondo, politicamente parlando di un’altra era geologica. Basti pensare che qualche settimana fa a dare una mano a Renzi a raccogliere le firme per il referendum è stata proprio la Coldiretti. Solo una cosa è certa: l’Italia di allora, grazie a quell’architrave della democrazia partecipata che erano i partiti di massa, era politicamente alfabetizzata, in grado di non farsi influenzare dai “venditori di prugne”. Oggi non è così. La massa d’informazioni reperibili sulla rete massmediologica, in mancanza dei luoghi di alfabetizzazione politica, non ci ha fatto politicamente crescere, ma decrescere; e non felicemente visti gli improperi che, al posto dei ragionamenti, imperversano sia in TV che sui social.

Alla fine, però, nella vicenda politica, malgrado ogni imbroglio, ogni turlupinatura indotta da alcuni leader politici coadiuvati da pur bravi spin doctor, vale pur sempre il motto di Abramo Lincoln: “Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo”.

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